| little vamp |
| | ed ecco per voi...il 4 capitolo!!..... INCUBI E SOGNINel dicembre del 1919 l’incubo riprese. Era una bella mattina soleggiata, anche se fredda, nulla a mio avviso avrebbe potuto renderla peggiore, ma il destino a quanto pare non la pensava al mio stesso modo. Charles tornò esattamente alle 10 e 37, mentre io stavo stendendo il bucato in giardino. Cantavo una delle mie canzoni preferite mentre mi crogiolavo alla luce del sole inebriata dal profumo di marsiglia emanato dai panni appena lavati. Tra il pallore dei lenzuoli apparve nella mia visuale una macchia verdastra. Subito non ci feci caso, pensavo fosse uno scherzo della mia immaginazione, ma poi questa macchia si fece più grande assumendo le forme di un uomo.. un uomo che io purtroppo conoscevo. La sua camminata, il suo sorriso malizioso e folle, il colore dei suoi capelli che non era ne nero ne castano, il suono dei suoi denti che strisciavano gli uni sugli altri.. Charles era tornato.. La guerra era finita da alcuni mesi e io, peccato dei peccati, speravo ardentemente che il nome di mio marito comparisse tra quelli dei caduti; probabilmente però, visto che colui che avevo davanti sembrava vivo, non era successo ciò che avevo desiderato.. “Mi sei mancata..” La sua voce era stranamente gioviale, come se quegli orrori invece di spegnerlo lo avessero rifocillato. Abbassai lo sguardo cercando di non incrociare i miei occhi color cioccolata con i suoi color della pazzia. “Cosa c’è, non vieni a salutare tuo marito?” Si avvicinò a me a braccia aperte lasciando cadere a terra la sacca verde che probabilmente conteneva i suoi averi; ora solo qualche passo ci divideva e di nuovo i miei piedi rimanevano fissi al suolo. Lo potei sentire sorridere e poi, stranamente, mi raggiunse con un abbraccio invece che con un pugno o un ceffone. Il suo petto era caldo, bollente quasi, ma per me era sgradevole come la prima volta che mi aveva stretto a se. “Bentornato Charles.” Atona, fredda, come se la morte mi avesse agguantata. Sciolsi quell’abbraccio e lo guardai negli occhi, volevo cercare quell’antica forza che avevo da ragazzina ma nulla bussò alla mia anima. “Solo questo..? Io sto via per degli anni e nemmeno un ‘mi sei mancato amore mio’, oppure ‘finalmente sei di nuovo da me’! Vedo che in questi anni ancora non hai imparato la disciplina!!” Eccola, come un tempo, quella sua ferocia si palesava sul suo volto che si contraeva in un’espressione piena di rabbia e follia. Le sue pupille si allargavano facendo apparire i suoi occhi come due pozze nero profondo che se non stavi attento rischiavano di risucchiarti. Le sue labbra, sottili e sempre imbronciate, si piegarono all’inverosimile verso il basso mostrando i denti bianchi appena macchiati dal marrone del tabacco da masticare. I pugni serrati lungo i fianchi sembravano aspettare solo un ordine per colpire; dovevo scappare, dovevo fuggire assolutamente ma ancora una volta i miei piedi non seguirono le mie disposizioni rimanendo immobili a terra. “Charles..” Quasi supplicante, pronunciai quel nome che tanto mi terrorizzava, portai le mani davanti al volto ancora prima che il colpo arrivasse ma quando sentii un dolore tremendo diffondersi dalla guancia all’occhio destro capii che non era servito a molto. “Moglie ingrata!! Tu stai a casa al sicuro mentre io in guerra rischio la vita e al mio ritorno nemmeno un po’ di riconoscenza?!” Pugni su pugni raggiungevano il mio viso e il mio corpo, io incassavo stringendo i denti mentre lacrime su lacrime mi rigavano la pelle livida. Straziata ancora una volta da quel marito padrone non riuscii a fare nulla di quello che mi ero riproposta in quegli anni. Mi trascinò dentro tirandomi per i capelli mentre io scalpitavo come un cavallo impazzito; buttandomi a terra mi strappò la camicetta color senape e di nuovo prese ad approfittare di me come faceva un tempo. Non importava quanto io urlassi.. non importava quanto io lo supplicassi di fermarsi, non importava quanto io piangessi o perdessi sangue. Il suo piacere aumentava in relazione al mio dolore. Quella fu la notte più lunga della mia vita. La mattina mi ritrovai riversa sul pavimento in un mare cremisi, il volto impiastrato di lacrime e sangue, i vestiti lacerati e il corpo livido e dolorante. Charles dormiva sul nostro letto beatamente. Mi tirai su, faticosamente, e mi trascinai verso la cucina. Aprii un cassetto e ne tirai fuori il coltello più affilato che avevo puntandomelo alla gola. Tremai per quelli che sembrarono lunghissimi istanti ma poi lo dovetti riporre. Non avevo il coraggio di uccidere me stessa e allo stesso modo non volevo togliere la vita a Charles anche se era un mostro. Caddi a terra, scivolando sui mobili della cucina, e piegandomi su me stessa presi a piangere a dirotto cercando comunque di non far troppo rumore per non svegliarlo.. non volevo che mi vedesse così ma soprattutto non volevo che riprendesse l’incubo della sera prima..
Qualche settimana dopo la “notizia” mi schiaffeggiò il viso con una tale violenza che fui costretta a rivedere la mia intera esistenza. Ero incinta! Sul momento pensai di abortire, l’idea che quella creatura fosse il frutto delle violenze di Charles su di me non mi permetteva di accettare la sua vita, ma poi il buonsenso mi fece ragionare. Quel bambino, nonostante non fosse stato concepito dall’amore, era comunque il MIO bambino. Non potevo farlo morire, non potevo non volerlo, ma soprattutto, non potevo farlo vivere in quella casa. Se fosse nato sotto la “stella malefica” di quell’uomo avrebbe patito ciò che pativo io ogni giorno. Sarebbe cresciuto con il perenne terrore negli occhi. Non volevo che una creatura così pura e innocente come poteva essere un’infante fosse macchiato da tale infamia. Doveva rimanere candido e puro, doveva vivere la sua infanzia come l’avevo vissuta io, in totale serenità. Fu questo a catalizzare la mia forza che io credevo perduta. Mancavano pochi giorni all’anno nuovo e di certo non volevo festeggiare quell’avvenimento con Charles. Presi su i pochi averi veramente importanti di cui disponevo e un pomeriggio, mentre mio marito era uscito per lavoro, sparii di casa senza lasciare nemmeno un biglietto o una piccola traccia che potesse condurre a me. Allo scoccare del 1920 ero da mia cugina Margareth che, con grande mia riconoscenza mi, anzi, ci ospitò nella sua casa di Milwaukee. Era stata la mia salvezza e quella notte, sotto la pioggia scrosciante, battezzai il mio ritorno alla vita.
[Carlisle fragment] Milwaukee. Notte fonda per le strade della città silenziosa allo scoccare dell’anno nuovo. Le finestre erano illuminate dalle luci della festa e in ogni angolo si poteva percepire il sapore della felicità. Camminando sotto la pioggia incessante, le mani in tasca e il volto basso, cercavo di placare, con scarsi risultati, la mia vorace voglia di sangue. Non cacciavo da giorni, non avevo avuto il tempo di farlo a dire il vero, troppe emergenze in ospedale quella settimana. I miei occhi, solitamente dorati e limpidi, quella sera erano neri come la pece. La gola mi bruciava mentre digrignavo i denti come per masticare l’aria. Speravo che nessuno sventurato umano si presentasse davanti a me ma poi, il fragrante odore di una ragazza, mi condusse in un vicolo buio e inanimato. Piccola, delicata, bianca come la luna e bellissima.. mi ricordò una vecchia figura che mai se ne era andata dalla mia memoria. La stupenda ragazzina di Columbus, la dolce Esme, tanto deliziosa quanto bella; ma era improbabile che fosse lei anche se l’odore era lo stesso e simile mi appariva il suo sembiante. Cercando di ammonire quella creatura proruppi in un lungo ringhio prima di saltarle a pochi centimetri dal viso. Ero molto più alto di lei, io così forte, lei così fragile… Sobbalzò e finalmente potei scorgere i suoi occhi color cioccolata, anche quelli così uguali a quelli della ragazzina di Columbus. Provai un desiderio indescrivibile, non era come al solito quando si, anelavo il sangue umano ma vi resistevo senza problemi, questa volta era diverso, il suo sangue cantava per me come faceva quello di Esme da bambina.. Era come una specie di droga, un qualcosa di cui non potevo fare a meno. Persi in un secondo la testa, la spinsi al muro mentre la pioggia ci bagnava entrambi ma la giovane non oppose resistenza. Mi fissava spaventata ma anche desiderosa. I suoi grandi e dolci occhi quasi bruciavano di nostalgia come se in me avesse trovato un antico fantasma. “Carlisle..?” Le sue labbra pronunciarono il mio nome e io mi raggelai sul posto. Come faceva a conoscermi? Avevo cercato di non crearmi troppe conoscenze in quella città tenendo celati il mio vero nome e cognome e invece quella ragazza conosceva il primo a perfezione. La spostai, con forza, trascinandola sotto la luce sfarfallante di un lampione e ne ebbi finalmente la certezza.. quella ragazza era Esme, la bambina di Columbus, non potevo dimenticare i suoi lineamenti anche se sembrava segnata da qualcosa di tremendo. Finalmente il lampione cessò di “vivere” e rimanemmo assieme lambiti dal buio, non volevo che mi vedesse in quello stato, volevo che pensasse che tutto ciò era soltanto un sogno e io soprattutto dovevo scappare se non volevo tramutare quel sogno in un terribile incubo ma la volevo, desideravo il suo sangue e il suo corpo. Le mie mani si mossero e in un secondo le cinsi la vita. Ora non poteva scapparmi.. ora era totalmente, incommensurabilmente, mia.. ecco il quarto capitolo....!!!come promesso!! ....
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